Come vanno assolti gli obblighi
Il nuovo Codice delle crisi di impresa entrato in vigore a
marzo (decreto legislativo 14/2019) cambia radicalmente la prospettiva della
legge fallimentare del 1942.
Se fino a pochi mesi fa alle crisi si reagiva, oggi
l’articolato impone che le difficoltà siano diagnosticate sul nascere, per
evitare che montino e si attivi un’escalation che può terminare con la
liquidazione giudiziale dell’azienda. La riforma lascia all’imprenditore e agli
organi di controllo aziendali l’obbligo di intercettare segnali di difficoltà.
La segnalazione diventa obbligatoria (a pena di rilevanti
conseguenze) in presenza di alcuni indicatori anomali. La discussione sulla
riforma si è aperta immediatamente. Comprensibilmente, data la delicatezza del
tema.
Gli indicatori previsti dalla legge
Vediamo brevemente i parametri individuati dal testo e
dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e Esperti Contabili (Odcec), chiamato in
causa dal decreto e cui corre l’obbligo di rivedere indici e soglie con cadenza
almeno triennale.
In quella che è una scala gerarchica dei potenziali segnali
di allarme, il primo indice individuato è la rilevazione di patrimonio netto
negativo. Se non interviene una ricapitalizzazione, scatta la ragionevole
presunzione dello stato di crisi.
La verifica cui sono tenuti gli organi amministrativi procede
con il Dscr (Debt service coverage ratio): l’indice descrive la capacità di
produrre redditi tali da far fronte ai debiti prevedibili in un dato periodo di
tempo, in questo caso sei mesi. Se il valore rilevato è inferiore a uno,
l’azienda potrebbe trovarsi in cattive acque. Fin qui l’articolo 13 del
decreto.
Qualora il Dcsr non fosse disponibile o venisse ritenuto non
sufficientemente affidabile, si passa a valutare una serie di cinque ulteriori
indici messi a punto dall’Odcec: sostenibilità degli oneri finanziari in
rapporto al fatturato, indice di adeguatezza patrimoniale, indice di ritorno
liquido dell’attivo, indice di liquidità in termini di rapporto tra attività a
breve termine e passivo a breve termine e indice di indebitamento previdenziale
e tributario.
Le soglie previste sono differenti a seconda dei settori di
attività dell’impresa, e, per presumere ragionevolmente lo stato di crisi, sarà
necessario superarle tutte e cinque.
L’atteggiamento dei commercialisti è stato prudente, sulla
base del ragionamento che è meglio un falso negativo rispetto a un sistema
troppo sensibile in grado di mandare in tilt l’OCRI (ingolfandolo di
segnalazioni), e a monte l’intera riforma, intesa a migliorare il sistema
economico nel suo complesso e non ad aggiungere ulteriore, inutile, burocrazia.
L’articolo 13 del decreto menziona, infine, altri due indicatori:
ritardi nei pagamenti reiterati e significativi e assenza delle prospettive di
continuità per l’esercizio in corso per cause diverse da probabili insolvenze.
Si tratta, nell’ultimo caso, di un criterio marcatamente qualitativo. Una
casistica potrebbe comprendere insanabili dissidi all’interno della compagine
azionaria, ma anche la perdita di mercati e clienti fondamentali, la comparsa
di concorrenti di grande successo e, ovviamente l’intenzione di liquidare
l’azienda.
Come evitare di farsi sorprendere dalla crisi?
Il nuovo codice impone già da marzo a tutte le imprese di
provvedere a dotarsi di strumenti e piattaforme adeguate a intercettare in
maniera precoce i segnali di crisi.
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